Archivio della memoria

Atti, regolamenti, testamenti. Mappe, cartoline, fotografie. Studi, ricerche, indagini. Citazioni, cronache, leggende. Cesano di Roma si racconta così.Se è vero che, come diceva Oscar Wilde, “la memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé”, Cesano di Roma può contare su un archivio della memoria – un patrimonio di ricordi, uno scrigno di testimonianze, una cassaforte di storie – ancora tutto da scoprire e riempire, da analizzare e svelare. Abbiamo cominciato a farlo con alcuni cesanesi doc che, grazie a operazioni di archeologia familiare o contadina, sociale o religiosa, stanno recuperando un passato che appartiene a tutti noi. Tradizioni, riti, usanze. Opere, costumi, modi. I nostri ieri.

Una volta affondata la mano nella terra,
seminandovi ciò che spera gli sopravviva,
un uomo ha contratto un matrimonio col suo luogo,
e se mai lo lascerà la sua carne avrà solo voglia di tornare.
La sua mano ha lasciato all’aria la sua vita d’uccello.
Si è protesa dentro il buio come una radice
iniziando a destare, veloce e mortale, nell’immutabile,
una linfa guizzante che gli scorre su fino alla testa,
perché lui veda le antiche genti di tribù chinarsi al sole,
scavando coi bastoni, aprendo la foresta
per ottenere colline di grano, zucche e fagioli,
le capanne e le tombe, e richiuderla ancora

Poesia n. 258 Marzo 2011” di Wendell Berry. da L’ordine della natura
Traduzione di Paolo Severini

Museo delle tradizioni contadine

Venanzio Calcinelli

Fototeca di Cesano

Armando Guarracino

L’albero di famiglia

Giuseppe Mocci

Campagna romana

Settimio Cecconi

Breve disquisizione di carattere agrario

Alfredo Di Stefano

Scrive Leopardi che “tutto ciò che accade sotto i nostri occhi e che chiamiamo naturale in realtà di naturale ha ben poco, poiché quasi tutto è opera del lavoro umano, dai campi ai boschi e allo scorrere dei fiumi”. Diciamo pure che a volte l’uomo ha cercato di modellare, adattare e pure ricreare uno scenario territoriale simile al naturale; ma altre volte di cancellare un percorso storico del paesaggio con l’urbanizzazione esasperata sollecitando Piani regolatori che per nulla hanno regolato. Anzi: l’espansione della metropoli che si fa periferica perde ogni pianificazione razionale

E’ un po’ la storia della nostra Campagna: quella romana; quella che per almeno due secoli ha dato lustro a letterati poeti e scrittori, pittori del paesaggio, quella visitata da figli di benestanti di mezza Europa, viaggiatori sulle consolari del Gran Tour. L’americano Herry Yames scriveva che nel paesaggio italiano “non scorgiamo linee rette, triangoli, cerchi, quadrati ma tutto è curva , linee spezzate, ondulazione vibrazione, sfumatura , musica, eco.   Ma poi c’era pure quella natura fatta di lande polverose calpestate da branchi di contadini avviliti da carestie e malaria alla ricerca di ombra dalla calura estiva sotto secolari e rari alberi sparsi fra le rovine di una Roma imperiale e acquedotti papalini da condividere con pecore e bestiame vaccino per sfuggire da mosche e tafani.

Poi finì lo Stato Pontificio. Vennero le guerre, e poco dopo alcune terre vennero espropriate: date ai contadini che iniziarono a migliorare il proprio stato. Di lì a qualche anno tutto cambia: arriva il boom economico; l’edonismo dei consumi. L’urbanizzazione prese piede e con essa il lavoro a paga sicura nelle città e quel mondo rurale iniziò un lento declino raccontato da Pasolini con “ la scomparsa delle lucciole”, ovvero lo spegnersi del mondo delle campagne. Oggi qualche lucciola è tornata, forse si è adeguata come gli storni, i voraci gabbiani e i cinghiali carpatici.

Ma sono gli anni fine 60/70  quelli più interessanti per le nostre campagne. Quelli immortalati negli scatti da Sandro Becchetti. Quegli anni delle lotte agrarie. Gli anni delle occupazioni delle terre dei sempre più ricchi e nobili proprietari. Gli anni delle mezzadrie sulle grandi tenute, dove da una parte c’era chi ci metteva la terra e dall’altra chi il lavoro e fatica. A volte i padroni erano gli istituti religiosi e dalle nostre parti il Collegio Germanico. Sono gli anni dei sindacalisti tenaci alla Bruno Ghetti che parlavano di diritti fino ad allora sconosciuti a operai che finalmente presero coscienza e manifestarono. Ci furono Altri 68 come scrive Matteo Amati (che di occupazioni  ne sa qualcosa) nel consigliabile racconto delle sue esperienze di vita e lotte in Animali abbandonati in pascoli abusivi.

Proprio in quegli anni arriva l’Europa. In verità l’Europa arriva nel 1957 ma i frutti agricoli si vedranno nel ’62.  Molto cambia; non tutto, la meccanizzazione moltiplica il lavoro e la resa, si fatica meno e si coopera di più. Arriva qualche finanziamento e una stabilizzazione dei mercati. Poi si pensò alle zone svantaggiate. Non mancarono i furbetti che si intestarono contributi su territori non loro. E neppure il ricorso a sostanze chimiche di sintesi. Entrarono nel lessico le espressioni “agro-ambientale”,poi  “multifunzionale” e, ciliegina sulla torta, “disaccoppiamento”. L’agricoltore, quello nuovo, fu costretto a studiare.

   Oggi l’agricoltura la può fare chiunque. Una volta c’erano le collane editoriali come la Biblioteca Agraria Popolare, la Reda (ramo editoriale degli agricoltori) che ti spiegavano come nasce un vitello o come si produce il buon fieno. Oggi ci sono i tutorial su internet che ti fanno vedere come innestare il pomodoro sulla patata. Se non hai un terreno puoi sempre prenderti un lotto di orto. Se non sai coltivare, guarda i vicini, scruta, ruba i segreti, non i prodotti. Impara. Tolstoj sembra fosse stato un grande ortolano, dicono che sapesse pure innestarli (non sappiamo se sulla patata). Ecco che allora gli hanno intitolato una varietà ibrida, il Tolstoj F1. Non hai bisogno di sapere chi era Justus Von Liebing, quello che scoprì i macronutrienti del terreno: azoto, fosforo e potassio utili per la crescita dei prodotti agricoli (pure sull’orto). Per dovere di cronaca, si deve a lui la scoperta del dado da brodo che tolse lavoro ad un sacco di massaie. Ci sono orti urbani, sociali e pure condivisi cioè cittadini che occupano un’area verde di quartiere abbandonata e degradata come l’esperienza della Garbatella. E poi conosci e prendi pillole di saggezza da quei simpatici vecchietti nati da famiglie contadine e contadini pure loro. Li riconosci dalle mani rimaste callose e dagli occhi stanchi ma vivi. Dai dialetti diventati gerghi, dai racconti di una cultura tramandata con la parola, a volte riattualizzata in una nuova memoria. Loro sanno come coltivare un orto e curarlo con cose naturali.  Parlare con loro ti far star bene come pure sporcarsi le mani sulla nuda terra ti toglie di dosso la depressione che i trattatisti classici chiamavano melanconia. La terra ti insegna una sacco di cose. “Val più una giornata nell’orto che un anno trascorso in biblioteche” Scriveva il filosofo Ernst Jünger.

Alfredo Di Stefano

 Agricoltore, già direttore della tenuta di Vicarello

ARCHIVIO DELLA MEMORIA

Campagne romane, tra agricoltura e storia

A cura di Marco Pastonesi, scrittore e giornalista e Fernanda Pessolano, operatore culturale. In collaborazione con l’Università Agraria di Cesano. Contributi di Archivio fotografico “Il picchio verde”, FB Fototeca di Cesano, Museo delle arti e tradizioni contadine, Alfredo Di Stefano, Settimio Cecconi

Una narrazione collettiva, dedicata alla storia delle tradizione contadine e attività agricole degli abitanti del Borgo di Cesano. Una narrazione bambina intrecciata con nozioni scientifiche, racconti biografici, fotografie del territorio, tratte dall’archivio dell’Università Agraria e da collezioni private contemporanee. Sarà costituito un archivio fotografico digitale con foto scelte e un archivio di testimonianze.