Radio Attivi – Archivio letterario della memoria

è un progetto di Fernanda Pessolano / Associazione culturale Ti con Zero
realizzato nel quadro di Cerveteri Città che legge 2018 – con il contributo del Cepell (Centro del libro e della lettura), in collaborazione con i centri-anziani di Valcanneto e di Cerveteri. Le testimonianze sono state raccolte nel corso dei laboratori di letture ad alta voce curati da Sonia Boffa, Marco Pastonesi e Fernanda Pessolano, con i contributi storici artistici di Settimio Cecconi e le letture di Patrizia Bollini.
Radio racconti a cura di Marzia Coronati. Le musiche sono di Alessandro D’Alessandro e dell’Orchestra Bottoni

MODERNI ETRUSCHI

https://www.marziacoronati.com/moderni-etruschi

Radio racconti a cura di Marzia Coronati

A Cerveteri, nella Tuscia romana, ci siamo seduti al tavolino dove giocano ogni giorno a carte un tombarolo e un sovrintendente ai beni culturali. Ormai sono entrambi a riposo e tra una partita e l’altra sorridono ricordando i buccheri a figure nere ritrovati nel corso della loro lunga carriera; Annito e Fabrizio hanno percorso strade forse opposte, sì, ma hanno un bagaglio di esperienze e competenze in comune. Con loro, ma anche con molti altri e molte altre abitanti della necropoli etrusca, ripercorriamo la storia contemporanea di un luogo portatore di una storia molto più antica.

RACCONTI E RICETTE

Laboratorio condotto da Sonia Boffa nei centri anziani di Val Canneto e Cerveteri.

letture da “Dolce come il cioccolato” di Laura Esquivel, Garzanti 2015

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Fin dal loro primo incontro, poco più che adolescenti, Pedro e Tita vengono travolti da un sentimento più grande di loro. Purtroppo, a causa di un’assurda tradizione familiare, per Tita il matrimonio è impossibile: ma per umana volontà e con la complicità del destino, lei e Pedro si ritroveranno a vivere sotto lo stesso tetto come cognati, costretti alla castità e tuttavia legati da una sensualità incandescente. Una storia d’amore in cui il cibo diventa metafora e strumento espressivo, rito e invenzione, promessa e godimento, veicolo di un’inedita comunione erotica.Le storie sono le trascrizioni delle registrazioni, raggruppate per tema e  “aggiustate” appena un pochino.

IL PANE, IL FORNO

  1. Mia suocera era una signora di campagna, no? Quarantatré anni fa faceva il pane. E quando infornava il pane, ché c’aveva il forno, faceva 5- 6- 7 pagnotte. E quando tu facevi il pane, era un evento. Tutti i figli collaboravano con mia suocera, ognuno, chi infornava, chi metteva dentro le fettine a bruciare, chi faceva questo… e allora… queste cose so’ belle, è una cultura che ti fai. Perché io con la povera mia moglie, ché sono vedovo, ch’è successo, che noi abbiamo provato a fare il pane dentro il forno di casa, perché non è che non si fa…e è la stessa medesima cosa che faceva mia suocera… facciamo il pane! Il pane è una cosa immensa!

2. Io c’avevo 15 anni quando ho cominciato a accenne’l forno e a fare il pane. E la prima cosa, è ‘na faticata accenne’ il forno, perché co’ le fascine, bisogna commatte’. Tutte le mani rovinate… non è facile. Bisogna vede’ se il forno è bianco sopra e bianco sotto, poi bisogna pulirlo e poi buttare un po’ de farina pe’ vede’ se brucia troppo: non è ora de ‘nfornallo, il pane. Poi non s’infornano mai due pagnotte insieme, perché s’attaccherebbero, perché il pane è talmente lievitato, che una lo divide, tra un pane e l’altro c’è un panno apposta, che vie’ diviso, se fa un rialzo e una pagnotta, un rialzo e un’altra pagnotta, se prende, se tira su una mano, se butta su la pala e s’inforna il pane. Infornato il pane se chiude il forno, dopo pochetto se apre pe’ vede’ il colore e viene un profumo che anche chi non c’ha fame je vie’ appetito! In forno un’ora, poi se riapre il forno, se lascia 5 minuti, poi se tirano fori le pagnotte, se mettono su la tavola e sotto c’è un panno e se copre co’ un panno e se lasciano ancora lì vicino al forno finché quasi non è freddo.

3. Siccome non avevamo il forno a casa, allora ogni tanto mia madre preparava una tiella con i pomodori con il riso oppure pollo e patate oppure abbacchio e patate e facevamo circa due chilometri a piedi io e mio fratello con questa teglia. Andavamo e dopo… un paio di ore, perché aspettavamo che finiva la cottura del pane, finita quella, infornavano le teglie di varie persone, perché non eravamo i soli. E… tornavamo a casa, dopo il tempo che era trascorso, ripartivamo… un paio di chilometri a anda’, co’sta teglia in mano, che poi eravamo piccoli, c’avevamo… io c’avrò avuto 6- 7 anni, mio fratello ‘na decina, quindi co’ ‘ste teglie avanti e indietro, facevamo questo tragitto. Era bello per un verso ma era brutto per un altro. Bello perché mangiavi roba buona, però faticoso perché dovevi fare tutta quella strada essendo bambini. Invece di sta’ a giocare dovevi andare… eh.  

4. Il pane francamente a casa mia non mancava perché io c’avevo un fratello di mia madre che era un fornaio cioè lavorava in un forno e faceva proprio il pane. Siccome noi eravamo quattro figli e il pane che ce davano co’e tessere era poco, allora lui c’aiutava… mamma mia gli aveva confezionato delle sacchette lunghe e strette e lui dentro i pantaloni ce portava a casa le fruste, c’avete presente il pane… lui le faceva nelle ore fuori del lavoro, dove lavorava je davano il permesso, perché era tempo di guerra, nun se poteva fa’, se te prendevano t’arrestavano e lui faceva, ci portava 7- 8 di queste fruste tutte messe dentro i sacchetti, dentro i pantaloni. Perché noi eravamo quattro figli, il pane… mi pare che ce ne davano ‘n etto a persona. E chi non mangiava mai il pane era sempre mia madre e mio padre. Per farlo mangiare a noi. Tutto lì.

IL PIACERE E LA CURA DEL CUCINARE

  1. Mi piace cucinare, mi emoziono a fare bella figura. Ci tengo molto. E così mi impegno, preparo il menù, scrivo tutto, tutto quello che mi serve e poi piano piano comincio a cucinare. Le cose che si possono fare prima le faccio prima e lascio le cose che si fanno per ultimo. Mi piace, proprio, cucinare, ecco. Mio marito, gli piaceva tanto invitare la gente.Ho cucinato tanto. Ché poi noi siamo stati tanto all’estero, no? Ho girato tanto nel mondo… faccio piatti uno portoghese, un altro turco… Quando l’italiano va all’estero… perché quando venivano dei turisti ci si incontrava, magari si cenava assieme, no? Li si portava al ristorante… gli spaghetti! Ma figlio mio, sei venuto in questo posto, assaggia le cose del posto, anche se non ti piacciono, una forchettata, almeno le racconti. O sono buone o sono cattive… Mio marito la prima cosa che chiedeva con gli amici, che poi si faceva amicizia, nel lavoro…chiedeva la religione, insomma tutte queste cose, il modo come vivevano lì, perché noi dovevamo viverci, dovevamo adattarci a loro, no? Allora si chiede questo e poi si chiedeva il tipo di mangiare, che cosa si mangiava…

2. A me non piace cucinare, io vado al ristorante a mangiare. Io mangio tutti i giorni al ristorante. Non mi piace cucinare, da quando è morto mio marito io la cucina l’ho chiusa. Vado al ristorante oppure vengo qui, mi faccio certe bistecche, piatti di spaghetti così, ‘na bella bruschetta, un quarto di vino… rosso, bianco, come capita. Tante volte vado pure la sera a mangiare la pizza. Non mi va di cucinare, non mi piace. Ho cucinato tanto.

3. C’era mio marito… lui, ecco, pure che… a volte il giorno si mangiava di più, allora a cena neanche facevo niente… lui, per come era abituato, come l’avevo abituato, anche se doveva mangiare una mela, io gli mettevo la tovaglietta… L’ho abituato in quel modo, l’ho abituato così e lui… era contento, a me che mi costava… Quando una rimane sola, tutta quell’attenzione va via… Perché io, ti dico, io prendo il vassoio… seduta sul divano… guarda, seduta sul divano con il vassoio, molte volte, ti giuro, se faccio la minestra, neanche dalla pentola la tolgo. Non m’apparecchio. C’ho il vassoio, di quelli che si mettono… mi preparo tutto quanto e mangio lì, insomma. Poi che c’entra, vengono i miei figli, i miei nipoti, per carità di Dio, apparecchio, qua e là, ma io non mi ricordo, da sola, che apparecchio il tavolo… Perciò voglio dire, capito? Che vanno via, tutte ‘ste cose.

4. No no, io cucino, io faccio tutto. Allora oggi dico: -Mo’ che faccio a pranzo?- Ho fatto pasta e ceci. Poi me so’ fatto mezzo coniglietto alla cacciatora… Poi dico: -Ma mo’… appresso niente?- Io c’ho la campagna, una manciata di cicoria, cotta, lessata e fatta col peperoncino. E ho fatto un pranzetto… coi fiocchi. No, io m’apparecchio, no no no… il vino, l’acqua, tutto, apparecchio, la frutta, tutto; mangio le mandorle e le noci, dopo mangiato, dice che fanno bene per il colesterolo… Io proprio a casa apparecchio sempre, pure se… a qualsiasi ora apparecchio e preparo la tavola.

5. Me sento imbranata, me vedo imbranata, non c’ho più la manualità. Io prima facevo dieci cose contemporaneamente… adesso ne faccio una e… ho perso la manualità, non lo so. Adesso sono sola, a casa, perché è morto mio marito, so’ quindici mesi. Ho fatto la torta a mio nipote, di compleanno… ho fatto una gran fatica! Perché non mi riusciva, io le mani… facevo fatica a lavora’… Non me riesce, proprio, so’ diventata… come se fossi diventata… legnosa, un legno, uguale. Invece io prima capirai ero smanata, a prepara’ il pranzo per 15- 20 persone non mi metteva pensiero. Tant’è vero che la moglie di mio nipote mi chiamava “festaiola” perché c’avevo sempre gente, me piaceva fa’ le feste. Adesso io me sento imbranata. Se c’è qualcuno che stiamo insieme, la riprendo subito, la manualità, è quando sono sola che me blocco. So’ fatta di legno. Non lo so perché. Tante cose accadute tutte insieme… ancora… il fisico non reagisce… non reagisce… all’infuori un po’ la testa perché  il cervello ancora ce l’ho.  Mio marito me chiamava: -Ma ‘n te fermi mai?-, Speedy Gonzales, perché io facevo dieci cose contemporaneamente, pensavo a quello, a quello, a quell’altro, cucinavo una cosa e poi andavo di là e poi facevo quello e poi quell’altro. A pranzo apparecchiavo, intanto cucinavo, non stavo ferma un minuto. Adesso… Comunque il dispiacere… blocca. Facevo la pizza, no? Ne facevo tanta. Adesso guardo il forno, dico: -Ma te pare me metto a combatte’ con te?- Adesso mi mette proprio pensiero. Io, pensa’ già che devo fa’ la spesa… te giuro me mette pensiero. E non è da me… La rigidità è per le cose, perché io col linguaggio non so’ rigida. A me piace, sta’ al centro, gesti’, ave’ il rapporto con le persone… a livello anche psicologico. Viene qualcuno… una persona, che vuole venire al centro, no? Non conosce nessuno. Io dico qualora apre la porta e mette il piede, ha intenzione; allora l’intenzione sua deve rimanere. Allora il modo qual è? Allora, prima di tutto: -Che desidera?- –Sa, mi vorrei iscrivere-, dice, -che devo fare?- -Venga, gli faccio la tessera?- E dopo in ufficio cominciamo a parlare, i problemi suoi… allora colloquiamo. Quella là perché s’è separata… -Signora, mi sono separata da poco.- -Come mai?- A settantatre anni. –Signora, problema di corna.- Dice:

-Vorrei venire…- -Ma che le piace? Giocare a Burraco, ballare, fare ginnastica?- Dice:

-Balla’ non so’ capace-. Dico: -Guardi, domani sera vie’ l’insegnante di ballo. Vede, lei, come ballano e poi le prende la fantasia perché-, dico, -la signora ha tanta pazienza. Pertanto lei si mette in mezzo, una volta sbaglia, una volta indovina, piano piano s’impara-. Allora è il rapporto con le persone. E a me questo rapporto piace.

IL PRIMO O UN GRANDE AMORE

  1. Io il primo amore me lo ricordo, però… non era un amore… Quello mio non era proprio un amore un amore. Sai quelle cose che… Abitavamo in borgata… veniva su allora, ‘sta borgata, e eravamo tutti ragazzette e ragazzini de là, allora ce vedevamo tutti insieme e ‘sto ragazzo me guardava. Io guardavo a lui, lui guardava a me… Oh, io il nome me lo so’ dimenticato, non me lo ricordo. Erano quelle cosette… però ti davano emozione! A me mi dava emozione, proprio, tanta! Capito? Mi dava l’emozione. Io ‘a sera quando andavo a letto ce pensavo. Quindi sono quelle cose che te restano… impresse. Poi mano mano, sai, tutta la comitiva, ci siamo un po’ persi di vista… Poi giustamente vabbe’ io dopo ho conosciuto mio marito… Quello è stato proprio… devo dire… veramente il primo amore, mio marito… Prima di mio marito c’è stato un altro, che portava gli auto  della STEFER.
  2. C’avrò avuto sui sedic’anni. Quello lì, veramente… fatalità faceva il capolinea, proprio, l’auto, sotto casa mia. Io stavo lì, così, de fori al balcone a aspetta’ che facesse il giro… sì! È finita che… siamo usciti una volta perché quello se n’era accorto, perché mica era scemo, era pure più grande di me, se n’era accorto, capito? Ma tu ce devi crede’, io una volta che so’ uscita co’ lui… m’è passato tutto. Ho riscontrato delle cose che a me non mi piacevano… E allora… Insomma questi due praticamente… però sono due cose diverse, la prima volta era un sentimento diverso da quello dell’altro. E ancora diverso da quello con mio marito. Il primo era emozionante… il primo… sentivo qualcosa che… capito? Che non mi sapevo rendere conto nemmeno io perché, insomma a 11- 12 anni, voglio dire… Col secondo c’era quest’attrazione. Diciamo l’attrazione. Che io… aspettavo che faceva tutto il giro, affacciata così. Poi magari scendevo… No, mio marito è stato veramente… quello sì, è stato proprio veramente amore amore amore amore, tutta proprio un’altra storia… no, no, proprio un’altra cosa. E si riconosce sai se è l’amore vero e proprio. Io l’ho riconosciuto. Voglio dire, poi ce stanno le cretinate, de quando stai in comitiva, quello te guarda… ‘e gelosie… ce stanno, ‘e gelosie, pure a undic’anni, a’ voja… Io l’ho riconosciuto benissimo. E l’amore di mio marito… so’ due anni ch’è morto, lui, eh? Mica è un giorno.

 3. Io avevo quindici anni e lei ventiquattro. Per 365 giorni le ho portato un garofano rosso.

4. Non è mai passato un giorno… Natale, Pasqua, Ferragosto… 365 garofani rossi. Tant’è vero che quando è morta poi le ho fatto il cestino coi garofani. Quand’è morta eravamo divorziati, però lo stesso… Embè. Anche perché c’è un figlio. Siamo stati praticamente fidanzati otto anni. Finché mia madre s’è stufata, ha detto: -Ahò! M’avete proprio rotto. Ve dovete sposare perché non ve reggo più-. Otto anni di fidanzamento. Il primo anno di 365 garofani, neanche un bacio. E poi gelosissimo io. Io c’avevo la Vespa, le facevo le cacce. Perché lei grande, c’aveva gli amici suoi, andavano a ballare, e io a casa. Perché a qiuindic’anni ‘ndo vai? ‘a sera dovevo rientrare a casa. E quindi è stato un anno di sofferenza. Finché un giorno faccio un incidente con la Vespa… Io stavo a casa, è venuta a trovarmi e me l’ha dato, il bacio. C’è voluto l’incidente. Poi ci siamo sposati. Però quando ci siamo sposati, io non ero più d’accordo a sposarla; però mi sentivo in colpa, cioè io l’ho tenuta otto anni con me, ero più piccolo di nove anni, lei trentatre io ventiquattro. Non posso lasciarla adesso. Ci siamo sposati. Era rimasto l’affetto. Ma non di più. È nato mio figlio e dopo due anni ci siamo separati. Anche perché ho incontrato la seconda. Anche perché io non ho mai messo le corna alla donna che stava con me. L’ho sempre lasciata e poi ne ho presa un’altra. E poi ne ho presa un’altra, e poi ne ho presa un’altra… Cinque. E questo è tutto.

5. È troppo bello. Abbiamo festeggiato l’anno scorso le nozze d’oro… Abitavamo in due palazzi vicini. Mi emoziono… Ci siamo fidanzati… Io uscivo il pomeriggio, d’estate. Portavo il cane a fargli fa’ ‘na passeggiata. Mio marito mi guardava, mi aveva vista, insomma. E senza dirmi niente, dopo un mese, lui è venuto a casa col fratello. Bussa. Dico: -Scusi, lei…?- Non ci conoscevamo, ci conoscevamo così, di vista. Dice: -Io vorrei parlare coi suoi genitori perché mi sono innamorato perdutamente e voglio chiedere la mano-. Quel pomeriggio c’era mia madre e mio padre. Dico: -Mamma, così così così- .-S’accomodi.- L’ha fatto accomoda’ in salotto e… ‘na cosa strana, veramente, sembra una favola però è successo così. Allora mio padre dice: -Lei chi è?- Dice: -Abito così, colì, mi so’ appena diplomato e adesso sto facendo un corso di programmatore e… quando troverò il lavoro- , perché l’ha trovato subito, perché è stato uno dei primi in tutt’Italia, dice… -io mi voglio sposa… vorrei fidanzarmi con sua figlia…- Mio padre disse: -Ma siete ancora giovani. Diciotto anni… quando avete intenzione di creare questo… di sposarvi?- Dice:

6. – Tra sei anni-. Io stavo dietro la porta a sentire. Allora dice mio padre: -Veramente mia figlia… non perché… non è da buttar via questa proposta ma io posso tenerla legata?-  Dice: -Perché io ho questa intenzione… perché ne ho conosciute tante di ragazze però questa mi piace. Voglio assolutamente fidanzarmi-. Io lì per lì ebbi un colpo. Perché io volevo essere libera… nel senso: volevo uscire con le amiche… s’andava… magari… si giocava… io ero ancora… a diciotto anni ero ancora… no bambina, grande ma nello stesso tempo non avevo intenzione di legarmi. Perché a quei tempi poi cosa succedeva. Che quando t’incontravi con una persona, mia mamma mi impediva di uscire con le amiche… non uscire più… dovevo uscire con loro, insieme al mio fidanzato. Insomma sono passati degli anni… lui ha trovato il lavoro… Al sesto anno ci siamo detti amore fino alla fine. Siccome andavamo in chiesa insieme, io davanti a Dio… abbiamo detto mio marito e io: -Ci dobbiamo rimanere fedeli fino all’ultimo ma non dobbiamo avere nessun rapporto. Dobbiamo sposarci vergini-. Tant’è vero che siamo rimasti così insomma. Allo scadere del sesto anno, trovato lavoro, trovata casa, poi ci siamo sposati. Ci scrivevamo le lettere… una lettera a settimana, mi scriveva. Aveva trovato lavoro… veniva ogni quindici giorni, insomma… naturalmente lui mi veniva a trovare e la sera andava via. Una cosa molto bella. Bellissima. E tuttora… sono cinquantuno che fanno… abbiamo festeggiato le nozze d’oro e andiamo di comune accordo.

7. Con mia moglie quasi trentott’anni di matrimonio. Po’ purtroppo… Quello che desideravo io era vede’ i figli sposati e famme ‘na casetta. E… ci sono riuscito! A farmi una casetta co’ tutt’e due i figli sposati, coi nipoti… e eravamo andati tutt’e due in pensione… Purtroppo, l’ha colpita un malaccio… È morta. E… non lo so, dopo dieci mesi, ho incontrato la mia compagna. -Ma… tua moglie è morta ch’è poco, come fai?- M’aveva colpito talmente tanto… Lei… era trentaquattr’anni ch’era vedova. E io l‘ho corteggiata, andavamo a balla’, l’amicizia, me n’aveva data tanta… poi… c’è stato un tempo nel centro… c’è stata un po’ d’invidia tra donne… e m’ha tolto l’amicizia. Praticamente per 3- 4 mesi non ci siamo più incontrati. Poi… un giorno ci siamo incontrati, al cimitero. Ci siamo fermati, ci siamo riparlati, l’ho invitata a prende’ il caffé al bar, siamo andati e… Dopo una settimana m‘avevano invitato a anda’ a balla’ e là c’era pure lei! Praticamente… c’è cominciato a veni’l tenero da subito. Ma dopo due anni e mezzo, eh? M’ha fatto tribola’, m’ha fatto tira’l collo, eh? E poi, a un certo momento, ecco qua. Siamo andati a vivere insieme. Avevo sessantaquattro anni io e sessantaquattro lei. È stato, guarda, veramente… Una seconda gioventù. Poi io dopo l’amore che c’è stato… l’ho curata io fino ch’è morta. Le punture… tutto io le facevo… le cucinavo… tutto, tutto. Quando lei è morta c’aveva un cuscino, co’ cento rose rosse. Un cuore. Lei i fiori li amava. C’ho i fiori miei, c’ho. Io le portavo i fiori, le si apriva il cuore. Quando ancora non stavamo insieme, il giorno di S. Valentino, le ho fatto un mazzo di fiori bellissimi. Ci siamo dati appuntamento, è venuta. Ci siamo incontrati. Abbiamo preso il caffè al bar. Le ho dato questo mazzo di fiori belli, le ridevano gli occhi, proprio! Quando siamo andati via, m’ha fermato, m’ha detto: -A Na’- , a sessantaquattro anni, eh?, -mo’che je dico a mi’ madre?- Allora quando poi ci siamo messi insieme le ha detto, la madre: -Ah, jel’hai fatta, dopo tanto!- E… niente. Poi… fino che… mo’ so’ dieci mesi ch’è morta, dieci mesi e mezzo. Abbiamo fatto 14, quasi 15 anni assieme. Le gite… tutte l’abbiamo fatte. In Sardegna, in Sicilia, dove non siamo stati. Quando stava male… cucinavo io. Le chiedevo quello che voleva… lo facevo io. Io cucinavo, le facevo le punture, io le davo le medicine… Pure mia moglie, uguale.

8. Diciamo che mio marito non è stato il primo, l’ho conosciuto che avevo vent’anni passati, avevo avuto tanti ragazzi ma niente di che perché allora non è che… come adesso che… come se mettono insieme vanno insieme a letto… no. Comunque poi vabbe’, ho conosciuto mio marito, ho capito che era quello serio, me so’ battuta perché a casa mia i miei fratelli non erano d’accordo perché era un operaio… e non volevano perché bene o male io un po’ avevo studiato, a casa mia… avevano studiato un po’ tutti… s’aspettavano qualcosa di… di meglio. E quindi… però io me so’ battuta… Poi niente, è andata avanti pe’ tanti anni… io farei… avrei fatto le nozze d’oro adesso. Tre anni fa s’è ammalato. E quando abbiamo capito quello che era, e il chirurgo gli ha detto, dice: -Tu devi seguirci, devi fare la terapia, la chemio…- eh, lui : -Sì sì, faccio tutto quello che devo fare perché io ci tengo a arrivare alle nozze d’oro-. Dice: -Quello è l’unico obiettivo che voglio-. Invece non c’è arrivato. Sette mesi dopo. Sette mesi. Co’ sette mesi s’è ammalato e è morto. Quindi adesso faccio… farei le nozze d’oro… immaginate, insomma, quel giorno quello che potrei… Quand’è morto i miei fratelli è come se avevano perso un fratello. Perché poi lui s’era attaccato molto alla famiglia nostra… e… vabbe’. Se tornassi indietro, lo risposerei. E me ribatterei anche con le mia famiglia, quello ch’ho fatto.

9. Io facevo la seconda elementare, mia mamma sta male, mio papà la porta dal medico, c’ha la pleura e una volta ce se moriva co’ la pleura. Allora il medico dice: -Questa signora deve andare all’ospedale a Roma-.  Sei mesi c’è stata. C’avevo un fratellino che c’aveva un mese e mezzo, il più piccolo dei miei fratelli. Io che c’avevo otto anni, potevo continuare a andare a scuola? No. Non me c’hanno più mandato. Abitavamo in campagna. Allora, dovevi cucinare pe’ tutta la famiglia, il mio papà lavorava… Poi quando c’avevo tredic’anni ho conosciuto benedetto mio marito… cioè non si chiamava Benedetto… Che sia benedetto. Che sia benedetto da dove riposa. È morto due anni fa. Allora io già lavoravo nelle campagne. Un giorno non mi mandano al lavoro. -Domani non c’andare, a lavora’.- –Ma io… già mi prendono in giro, mi chiamano la patatina.- C’avevo tredic’anni e rimanevo sempre indietro, signo’. ‘na volta c’era la zappetta col manico così, alto, se zappava, mo’ fanno tutto con le macchine elettriche. Dicevano: -Aiutamola, se no viene il caporale e la licenzia, ‘sta povera patatina- e m’aiutavano, perché rimanevo sempre indietro, no? Sa quanto pesavo, signo’? Quarantuno chili. Ero bassa come adesso. ‘n so’ cresciuta. Allora non me mandano a lavora’. Dico: -Ma me fate licenzia’-. Dice: -Ma dài, parlamo noi co’l caporale, non te licenzia-. Allora c’era un viale dove abitavamo… vedo un uomo che veniva co’n pacco ‘n collo, incartato co’ qu’a carta straccia, ‘a chiamano, qu’a carta gialla… la carta paglia. Ho detto: -Mamma, viene un signore-, dico, -giù al viale. Ma chi è?- -Ah-, dice, -quello è uno che ieri è passato, t’ho comprato un lenzuolo ricamato di puro lino. Ti vuole conoscere-. –Ecco perché non m’avete mandato al lavoro.- Quello, quand’è venuto dice: -Ah-, dice, –questa è sua figlia?- Stavano d’accordo che mi voleva conoscere. Era passato il giorno prima, mia mamma aveva detto: -Prendo questo lenzuolo ricamato-. Dice: -Signora-, dice, -ma lei che c’ha quasi quarant’anni, ‘n’è meglio che se ne compra uno che costa meno?- Dice: -No, io c’ho una figlia che c’ha tredic’anni, inizio a faje ’l corredo-. –Ah-, dice, -tredici anni, e dove sta?- Dice: -Lavora, in campagna-. Dice: -Me piacerebbe conoscella-. Mo’ che ne so se gl’hanno fatto vede’ qualche fotografia ma manco esistevano, signo’. Ai tempi de ‘na volta… Tredic’anni c’avevo, lui ventidue. Insomma, è venuto a conoscermi. Allora: -Signora, mi piace, questa ragazza-. E arriva l’indomani, e dopodomani… non se n’è andato più, signo’, de casa. Dopo 3- 4 mesi dice… gli dice, a mio papà: -Ce la manda vostra figlia, ce la mandate con me? C’ho mio fratello, sposato, te lo faccio conoscere-, dice, -viene con me- e m’ha portato al paese suo, signo’. Tutte vecchiette davanti casa sedute ‘mezzo ‘a strada. Quasi tutte vestite de nero perché là quando m’ore qualcuno per 15- 20 anni portano il lutto. Allora… io il dialetto non lo capivo… allora dice: -Ah, C’è la zita , questa-, dice, -viene di Roma-… ho capito solo che a Roma sono tutte mignotte. Perché c’ha la nomina dell’Appia Antica, Roma. Che mo’ stanno dappertutto, signo’, pure in Sicilia, pure in Puglia… Dappertutto.

Vado dentro casa e ho detto, alla sua mamma, dico: -Queste vicino casa tua…-, c’erano due zitellone d’una sessantina d’anni e due vecchiette, -hanno detto così così. Che cosa vuol di’? “La zita… viene da Roma… so’ tutte mignotte”… quello l’ho capito-. Dice:  -Ma…-, dice, -la zita vuol dire ch’è la fidanzata.- ‘nzomma, signo’, fatto sta, mio marito, non se n’è più andato da casa. Io ho conosciuto solo lui. Quando c’avevo sedic’anni e mezzo… dice… papà e mamma subito l’ha chiamati, i miei genitori, dice: -Ma io pago tanto affitto, vado a mangia’l ristorante… Perché non ce fate sposa’?- Allora il mio papà e la mia mamma hanno dovuto mettere la firma pe’ farce sposa’. Se provavo qualcosa per quest’uomo…? Vabbe’ dopo tre anni già che lo conoscevo, signo’! Non avendo mai conosciuto uno…

I PIATTI DEL CUORE, GUSTI, DISGUSTI E GUSTI CHE CAMBIANO

  1. A me sai cosa m’emoziona? La polenta. Ti unisci con tutta la famiglia e mangi la polenta. Tutti insieme. C’è un’armonia, c’è un godimento… Mia suocera c’aveva ‘na tavola che sarà stata due metri, la spianatoia, in mezzo al tavolo. I figli, sette figli, moglie e marito, insomma un bel gruppo. Quando facevano: -Occhio, eh? Non vi mangiate le salsicce!- Le salsicce stavano tutte in mezzo. Pezzettini di maiale, pezzettini di carne … E chi arrivava prima… Ed era un godimento, era veramente un bel godimento, perché sai, in famiglia, uno scherzo e l’altro… capito? Io te frego a te, tu me freghi a me… è partecipare, è anche un gioco, è partecipare a una comunità, cioè tutti quanti i figli partecipano a queste belle cose che non ci stanno più.

2. C’è chi mangia per vivere e chi vive per mangiare. Io non vivo per mangiare, mangio per vivere, è diverso. Però, se io mangio una tartina al caviale, allora… quella mi fa pensare alla Russia, ala steppa, gli Ussari. Mi porta fuori. Mio padre era tunisino, quindi io mangiavo spesso il cus- cus come si mangia a Tunisi. Con le mani. Non si mangia con le posate lì, tutti intorno al piatto di cus- cus con la carne e il pesce e ognuno ne prende un pochino. Però, ecco: mangiare per vivere, non vivere per mangiare. Cioè quello che è sufficiente e poi basta.

3. Qualcosa che mi piace tanto? Te lo dico subito. Le fave. Le fave cotte. Allora. Mio padre mi cucinava le fave, io… impazzivo, a mangiarle. Avevo una pancia così, dovevo partorire e mi so’ mangiata prima le fave e poi sono andata a partorire. Il gusto mio sono le fave cotte. Con la pasta, senza la pasta, crude. Ma cotte è la mia passione. C’ho proprio gusto. Proprio mi piacciono. T’ho detto, prima di partorire mi sono mangiata un piatto di fave, mi reggevo così, coi dolori. Poi sono andata a partorire. Adesso mio figlio c’ha il ristorante.

4. Avevo un ristorante a piazza del Popolo quindi… veniva tutta ‘sta gente così. Alberto Sordi veniva soltanto per mangiare i peperini, fatti con il brodo di pesce perché questo ristorante era soltanto di pesce. E veniva co’sti due occhietti azzurri… Quando mangiava, non mangiava, si strafogava! Era una cosa… era una gioia vederlo perché ti dava gusto.  Quando al ristorante è venuto Alain Delon… Ah! Lì ho provato proprio un gusto! Lui ha mangiato, io l’ho guardato ma ho mangiato pure io… proprio… ah!

5. Può esserci anche il disgusto. Dei ceci. Non mi piacciono assolutamente. Mi si accappona la pelle. Quando mia madre li metteva a bagno perché poi dovevano essere cotti, a sentire quell’odore per casa… nauseabondo… ce l’ho ancora adesso il ricordo… mi fanno schifo. Però mia madre non capiva se era un capriccio mio o era proprio una repulsione. Mi ricordo una volta mise questa minestra dentro un piatto per due giorni. Frigo e a tavola, frigo e a tavola. Io quei ceci non l’ho mangiati. L’ha dovuti butta’ perché poi erano diventati cattivi. Proprio… per me i ceci… non posso sentire l’odore.

6. A me non piace il brodo. Io mi fidanzo, il mio fidanzato mi porta a conoscere i parenti. Indovina che trovo? Il brodo. L’ho dovuto mangiare con un disgusto… Adesso io non passa settimana che non faccio il brodo. Ma guarda che è una cosa incredibile. Da allora!

7. Io fino a 33 anni non ho mangiato i pomodori. Cioè per mangiare la pasta al pomodoro, al sugo, mia madre doveva mettere la conserva perché se la faceva coi pomodori… io non la mangiavo. Mi dava fastidio allo stomaco, proprio. Io davo di stomaco. I pomodori a insalata… Fino a 33 anni. A 33 anni è successo che stavo da una parte, hanno fatto un’insalata di pomodori col tonno e l’ho dovuta mangiare per forza e non m’ha fatto male. Non me so’ sentito male Il fatto che io non mangiavo i pomodori, a casa mia ha fatto ‘sì che mio padre ha detto alla donna di servizio che c’avevamo e a mia madre: -Non comprate più pomodori in questa casa- perché io solo a vederli mi sentivo male. A casa mia quando c’erano i pomodori io stavo in un’altra stanza. Io adesso mangio solo pomodori.

CIBO DA SPIAGGIA: LE FETTINE PANATE

Al mare si mangiava la frittata di pasta… le fettine panate, tonnellate di fettina panate, te portavi al mare, le banane e il cocomero.

Il pollo coi peperoni pure se portava.

Io al mare andavo con i figli in pullman, mi portavo pentole di pasta e fagioli. Ma guarda, buoni buoni buoni, eh… per andare là, coi ragazzini, sulla spiaggia, che poi mangiavamo tutti dentro la cabina, no? Stavamo a Ostia. Andavo al Vittoria, giù in fondo. Però… ho passato dei bei momenti. Con gli amici, i figli…

Con mia madre, portavamo il lenzuolo, le canne, ficcavamo le canne… e facevamo la baracca, ce mangiavi, te spogliavi, ce facevi tutto. A Ostia, a Castel Fusano, facevamo così. E da mangiare ci portavamo tutto. Mia madre? Mia madre faceva tutto. La frittata… Più che altro sai che portavano? Le famose fettine panate… Santa benedetta! Era una cosa spaventosa, guarda.

Quando io andavo fuori e mi portavo i due nipotini… mia figlia rimaneva a Roma perché lavorava e no ormai stavamo in pensione e quindi quando andavamo fuori mi portavo questi nipotini, figli di mia figlia. E allora, ci fermavamo… Invece di portarli al ristorante che poi loro non si fermavano, giocavano, di qua e di là, allora ci fermavamo in un posto… lungo la strada c’era tanto spazio verde, e io mi portavo le fettine panate; ma loro erano capaci di mangiarsene tre! E quindi portavo le fettine, due pomodori verdi e rossi tagliati e conditi in una scatola e ci fermavamo… Ecco, questo è un bel ricordo, per esempio, perché mi porta indietro de.. de… de vent’anni, insomma, voglio dire, no? E ci divertivamo e io so’ passata come quella che viaggiava con le fettine panate. Perché si mantenevano morbide, erano… se potevano pure mangia’ colle mani senza fa’ tante cose e erano bone!

MA NON È LO STESSO SAPORE

La mamma di mio padre faceva certi vassoi di carciofi fritti che non finivano più. E le pizze di Pasqua. Le sbattevamo noi nipoti, 7 o 8, poi lei le metteva nelle pentole, ma ne faceva 20- 30, e le copriva, lei c’aveva una cucina economica grande, la mattina verso le 6,30, così, salivamo, al 40 piano abitava, ognuno prendeva la sua e la portava al forno che stava sotto e poi aspettavamo e andavamo a riprenderle. Abbiamo provato a rifarle con mio fratello, c’abbiamo ancora la ricetta ma non è lo stesso sapore.

Io c’ho un bel ricordo, le famose zippole, che si facevano in Sardegna. Con l’imbuto. Si faceva l’impasto con le patate e poi… così erano grosse [come una bomba]. Ma certe mangiate! Mamma mia ragazzi miei! Che poi mamma quando cucinava tutto il rione veniva mangiare da me perché sapevano ch’erano buone, capito? Così buone non le ho più mangiate.